David di Donatello, la conferma dell'onda meridiana del nuovo cinema

Garrone, Cortellesi e Riondino alla premiazione
Garrone, Cortellesi e Riondino alla premiazione
di Oscar IARUSSI
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Domenica 5 Maggio 2024, 04:35 - Ultimo aggiornamento: 6 Maggio, 18:22

Un verdetto molto meridionale e molto sociale ha incorniciato il David di Donatello 2024. I film più premiati, infatti, sono parimenti concepiti o ambientati da Roma in giù e intorno a temi di forte rilevanza pubblica, che sia l’esodo dei migranti del Terzo Mondo o la violenza contro le donne. Ma anche «il futuro diverso di una città che soffre eppure continua a lottare», come ha detto Diodato nella sua emozionante dedica ai concittadini di Taranto nel ritirare il premio per la migliore canzone originale di «Palazzina Laf», opera prima da regista del suo grande amico Michele Riondino, tratta dal libro «Fumo sulla città» del compianto Alessandro Leogrande. È la conferma di una tendenza meridiana che negli anni si è avvalsa dei successi sugli schermi cinematografici e televisivi di Sergio Rubini e di Mario Martone, di Checco Zalone e di Gennaro Nunziante, del Montalbano di Camilleri e dell’«Amica geniale» dai romanzi di Elena Ferrante, di Gomorra e del «Metodo Fenoglio» ispirato ai best seller di Gianrico Carofiglio, della Lolita Lobosco creata da Gabriella Genisi etc. E se per la Puglia è giusto ricordare il ruolo propulsivo della Apulia Film Commission, in generale il Sud della fantasia differenziata è più forte della minacciosa Autonomia perseguita dal ministro Calderoli e non smette di fecondare l’immaginario collettivo. Stavolta il Sud conquista i David grazie a storie di naufraghi e fuggitivi, di proletari ed eroi per caso, di donne e uomini la cui forza nasce proprio dalla fragilità. 

L'odissea dei migranti e la violenza di genere. Poi la Taranto dei veleni


Ben sette statuette sono andate a «Io capitano» di Matteo Garrone, la vera odissea contemporanea di due ragazzi africani che partono dal Senegal e sognano l’Italia mentre attraversano il deserto e poi il Mediterraneo tra vessazioni, lutti e visioni oniriche di disperata vitalità, fino all’approdo sulle coste siciliane. Sei premi suggellano la marcia trionfale al botteghino di «C’è ancora domani» di e con Paola Cortellesi, visto in sala da cinque milioni e mezzo di persone e ora disponibile in streaming. Cortellesi si afferma come miglior attrice e migliore regista esordiente dell’anno (nella cinquina figurava il tarantino Giacomo Abbruzzese di «Disco Boy»), con una commedia amara, per di più in bianco e nero, sugli abusi domestici subiti dalla protagonista nella Roma bellica. Il finale coincide con la redenzione del primo voto femminile nel referendum del 2 giugno 1946, quando l’Italia sceglie la repubblica. 
Tre i riconoscimenti per il folgorante «Palazzina Laf» di Riondino, ambientato a fine anni ’90 nella Taranto dei veleni e della reclusione di decine di operai e impiegati dell’Ilva nella famigerata palazzina, primo caso di mobbing collettivo. Il film ottiene i David riservati al migliore protagonista (lo stesso Riondino), al miglior attore non protagonista Elio Germano e, appunto, alla migliore canzone per la struggente «La mia terra» di Diodato, aostano di nascita, ma cresciuto nella città dei Due Mari dove è fra gli animatori del concerto dell’«Uno Maggio» e di altre iniziative politico-culturali.

Senza dimenticare la statuetta dei documentari vinta da «Laggiù qualcuno mi ama» di Martone, dedicato a Massimo Troisi nel trentennale della morte. L’omaggio al genio comico napoletano si è imposto, fra gli altri, sul coraggioso «Mur» di Kasia Smutniak realizzato insieme alla pugliese Marella Bombini lungo i confini del muro anti-migranti tra Polonia e Bielorussia, e prodotto dalla «Fandango» del barese Domenico Procacci.


La cerimonia dell’Accademia del cinema italiano presieduta da Piera Detassis si è svolta l’altra sera nel Teatro 5 di Cinecittà caro alla memoria di Fellini e in diretta Raiuno seguita da due milioni e ottocentomila spettatori (un milione in più dell’anno scorso). L’ambito titolo del miglior film è andato a «Io capitano» di Garrone, che si è aggiudicato pure la migliore regia, già premiata con il Leone d’argento all’ultima Mostra di Venezia. Una vittoria a sorpresa, considerando che i pronostici indicavano in «C’è ancora domani» con le sue diciannove candidature il trionfatore assoluto della serata. Così non è stato e simbolicamente si tratta di una sorta di risarcimento per Garrone dopo l’Oscar mancato due mesi fa.

Escono a mani vuote Comandante, La Chimera e Il sol dell'avvenire


Dai David 2024 esce invece a mani vuote «Comandante» di Edoardo De Angelis, girato a Taranto al pari di «Palazzina Laf», che pure gareggiava in dieci categorie. È il film biografico su Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino), l’eroico ufficiale della Marina Militare che durante la Seconda guerra mondiale salvò un equipaggio nemico accogliendolo a bordo del suo sommergibile: un elogio del soccorso in mare che dà del tu a «Io capitano». Delusione anche per l’intenso «La chimera» di Alice Rohrwacher e forse soprattutto per «Il sol dell’avvenire» di Nanni Moretti con la sua cifra sì politica e autobiografica, nondimeno leggiadra, circense, musicale e per molti versi felliniana. Cinque i David per «Rapito» di Marco Bellocchio, disincantato e ironico veterano della serata, autore del film che racconta la vicenda di un bambino ebreo strappato alla famiglia dal Papa nella Bologna di metà ‘800. «Rapito» ha vinto fra l’altro per la migliore sceneggiatura non originale scritta da Bellocchio con Susanna Nicchiarelli e per i migliori costumi di Daria Calvelli e Sergio Ballo. Quest’ultimo ha polemizzato in diretta per la «tirchieria» di chi aveva previsto una sola statuetta da consegnare alla coppia dei vincitori, del resto confinati - ha detto - in una scenografia diversa dal Teatro 5 riservata alle categorie tecniche. Pronta la replica di Carlo Conti, conduttore della serata con Alessia Marcuzzi: «Aver portato alcune categorie in spazi speciali ci sembrava una ricchezza, non una deminutio». Sarà, ma essendo il cinema un’arte collettiva, la trovata resta quanto meno infelice. 
Nel segno/sogno di Federico Fellini e nel grande teatro di posa che fu davvero «casa sua» (aveva addirittura una piccola cucina e un angolo riposo nei camerini), la platea ha tributato una «standing ovation» al giornalista e scrittore Vincenzo Mollica cui è andato un David speciale. «Fellini mi ha cambiato la vita, dalla danza al cinema», ha detto a sua volta Milena Vukotic ritirando la statuetta alla carriera (un’altra per il musicista Giorgio Moroder). Non a caso in apertura della serata una coreografia felliniana ha evocato Sandra Milo e il maestro di «La dolce vita», «8 ½» e «Amarcord», dando il la all’esibizione canora di Mahmood con la sua «Tuta gold». Il cinema identità italiana e metafora di libertà, delle cui «visioni plurali» abbiamo bisogno, ha affermato il presidente Sergio Mattarella ricevendo al Quirinale tutti i candidati.
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