Il bacio e l'assoluzione/ Se con Giuda il tradimento è nel significato della parola

caravaggio il bacio di giuda
caravaggio il bacio di giuda
di Michele PARTIPILO
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Sabato 30 Marzo 2024, 16:42 - Ultimo aggiornamento: 21:19

Pasqua, tempo di riflessione. Se i fari sono puntati sul Cristo, sullo sfondo si muovono altri personaggi. Il più importante è Giuda, l’uomo del tradimento e per sempre epitome dei traditori di ogni risma. L’infame del linguaggio malavitoso. Eppure il suo è un ruolo necessario per il sacrificio del Dio fattosi uomo.

L’altra sera nella sala Odegitria della Cattedrale di Bari la sua figura è stata al centro di un singolare processo. Magistrati e avvocati, facendo riferimento ai testi evangelici, hanno portato i fatti di duemila anni fa all’attenzione di una giuria popolare: il pubblico presente, fra cui sacerdoti, avvocati, studenti, ma anche il vescovo di Bari, mons. Satriano e il Procuratore generale, Leone de Castris. «Una efficace catechesi», l’ha definita don Lanzolla, il parroco della Cattedrale, dando merito agli ideatori della rappresentazione, il giornalista Onofrio Pagone e l’insegnante Francesco Minervini.

Alla fine, anche con un po’ di sorpresa, il verdetto di non colpevolezza.

Assolvere Giuda non è stato l’ennesimo esempio di revisionismo storico o di politicamente corretto. È stata la riscoperta del testo evangelico ripulito dai pregiudizi e dalla loro sedimentazione. Un po’ come l’accusa di deicidio verso il popolo ebraico e che per secoli ha giustificato persecuzioni (anche da parte cattolica), confinamento nei ghetti, discriminazioni fino al momento più atroce, l’Olocausto. Oggi l’accusa è caduta e il Venerdì Santo non si prega più «per la conversione dei perfidi ebrei». Per Giuda non è andata così, nessuna riabilitazione, era e resta il traditore per eccellenza. 

A leggere bene le parole della Scrittura il giudizio potrebbe cambiare. I quattro evangelisti riportano tutti l’episodio del tradimento, ma il racconto più ricco di dettagli e dal tono più accusatorio è quello di Matteo, che fornisce anche un antefatto: «Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo». 

Matteo fa la cronaca anche del tradimento, riporta le parole di Gesù e degli altri: «Mentre mangiavano disse: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”. Ed egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». 

La chiave dei fatti – come ha mostrato l’avvocata Lorusso durante il «processo» – è nella parola tradimento. Viene dal latino trādĕre, che però significa raccomandare, affidare, consegnare. Dunque non venir meno a un patto, a un obbligo, a un’amicizia. A chi si comporta in questo modo il Latino riserva un altro termine: proditor, cioè delatore, traditore. Gli evangelisti e i primi traduttori dall’Aramaico non usano questo termine, ma tradere, del quale oggi conserviamo il senso originale nella parola tradizione, cioè qualcosa – usi, costumi, documenti, tecniche – che ci è stato affidato/consegnato.

E non è la vicenda di Giuda a far cambiare significato, tradere assumerà il senso moderno durante le persecuzioni dell’imperatore Diocleziano (303 dC): saranno chiamati traditores quei sacerdoti e vescovi cristiani che, per aver salva la vita, «consegneranno» ai Romani i testi sacri e gli elenchi dei battezzati.
Il ruolo di Giuda è indispensabile perché si compiano le Scritture, non a caso il suo nome significa «Dio è ringraziato». Gesù lo sa e nei suoi confronti non usa parole di condanna. È vero, dice che sarebbe stato meglio se non fosse mai nato, ma perché conosce il travaglio interiore che lo scuoterà di fronte alla responsabilità di ciò che ha compiuto, perché non sa di essere parte di un disegno divino. E infatti non regge il peso, restituisce i soldi ricevuti e s’impicca. Giuda è il simbolo della debolezza umana, di colui che non riesce a sopportare un carico così grande. «Fin dove reggono le spalle di un uomo?», si chiedeva angosciato don Primo Mazzolari. Quanti ne abbiamo conosciuti nelle cronache quotidiane? Quante persone non hanno retto alla vergogna per ciò che avevano fatto o per ciò di cui venivano accusati? 

A Bari Giuda ha avuto un processo, ancorché nella rappresentazione teatrale. Nella realtà fu condannato per sempre, non dagli evangelisti, ma dalla cattiva interpretazione delle loro parole, dalla voglia di trovare un facile colpevole o soltanto un nemico. Proprio come accade oggi, nella vita e nella Babele comunicativa, quando non esitiamo a «consegnarci» ai social, traditores di ogni intimità, salvo poi pentirci e «piangere amaramente» come Pietro, lui sì protagonista di un vero tradimento e per di più annunciato. Pietro è diventato la pietra su cui è fondata la Chiesa, Giuda è rimasto sepolto sotto l’infamia e da allora più nessuno ha portato il suo nome. Sarà difficile riabilitarlo mutando ancora il senso delle parole, è possibile invece perdonare e riabilitare tutti i Giuda del mondo. Il loro tradimento è la misura della loro debolezza.
 

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