Emiliano in Aula e la mozione di sfiducia: toni bassi, numeri “salvi” e quel «cambio di passo» ancora tra mille incognite

Nessuno alza il tiro della polemica, il governatore promette, apre e assicura una nuova fase. Ma i contenuti al momento sono da fissare. Il ruolo di cinque stelle e calendiani e i temi cardine della legalità

Consiglio regionale discute mozione di sfiducia a Emiliano
Consiglio regionale discute mozione di sfiducia a Emiliano
di Francesco G. GIOFFREDI
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Mercoledì 8 Maggio 2024, 08:46 - Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 06:36

Il (solito) caos organizzato del Consiglio regionale e lo spettacolo d'arte varia di una seduta fiume partoriscono, alla fine, un colpo di lucchetto per la maggioranza di Michele Emiliano, un verticale abbassamento di toni e polemiche, qualche dubbio e possibili scenari. Il governatore blinda temporaneamente il centrosinistra (meglio: “la coalizione che governa la Puglia”), dopo circa due mesi di scossoni politico-giudiziari e carboni ardenti sotto le poltrone regionali. Non si dissolve la ancora tangibile sensazione della fine di un’epoca, del crollo di un sistema politico e di potere che ha messo radici 20 anni fa e che sembra ai titoli di coda.

La fortunata (per Emiliano) conta al pallottoliere del Consiglio non cancella, del resto, le tante crepe del centrosinistra pugliese, non è una svolta, né è una passata di spugna su errori, trasformismi, zone d’ombra. Ma, di sicuro, la bufera adesso un po' si placa, i riflettori s'abbassano e il clima elettorale – da Bari a Lecce – sarà forse meno avvelenato e più “ordinario”. Del resto, lo stesso centrodestra che ha portato in aula la mozione di sfiducia poi bocciata (30 a 19), ieri ha surfato sul cuore del problema senza mai andare davvero in profondità: nessun attacco frontale su legalità, inchieste, questione morale, ma una lunga e non nuova elencazione dei fallimenti amministrativi e dei limiti di metodo di governo. Sarà il garantismo, sarà una forma di garbo istituzionale, sarà - come dice Francesco Ventola, capogruppo FdI - che «chi ha messo in dubbio Emiliano, proprio sulla legalità, sono stati Schlein, Bonelli, Fratoianni e Conte», ma di sicuro il governatore ringrazia (letteralmente) la minoranza di centrodestra: lo ha fatto più volte ieri in aula, tra ironia, provocazione, riconoscimento del fairplay e mano tesa all'avversario di oggi che può magari diventare un transfuga da accogliere domani. Un film già visto: «Io spesso sembro più predisposto verso chi non la pensa come me, e voglio convincerlo». Qualcosa, diciamo così, s’era intuito in questi anni. Comunque: è stato un Emiliano, ieri, a bassa intensità, senza squilli e molto prudente, che si concede anche un «ho fatto errori».

Il futuro

Ora, però, che succede? È lo stesso governatore ad ammetterlo nelle dichiarazioni in aula, un po' affidandosi a un canovaccio scritto e un po' parlando a braccio dopo quasi sette ore di dibattito: «Oggi è l'inizio di un cambio di passo, ma serve la collaborazione di tutti». Insomma: la fase è quella che è, le inchieste non avranno toccato direttamente l'attività amministrativa della giunta, ma «la tempesta politica e mediatica è stata di enormi proporzioni» e dunque occorre altro e di più. Il punto è che nessuno al momento sa cosa sia questo “altro e di più”. In cosa consisterà il «cambio di passo» resta un mistero, una sorta di guscio da riempire in fretta di contenuti: la legalità e la trasparenza, per esempio, cioè i due mantra declinati con diverse modalità e proposte dai due pezzi di maggioranza più critici, e almeno ieri però riconquistati. E cioè M5s e Azione. I primi hanno votato contro la mozione di sfiducia, di fatto è l’antipasto del prossimo ritorno organico in maggioranza e in giunta dopo la tattica (per ragioni elettorali) uscita orchestrata da Giuseppe Conte, a patto di concretizzare il protocollo per la legalità e di potenziare i controlli interni. I calendiani hanno invece posto al governatore condizioni ben precise, in larga misura accolte pur con qualche paletto (la rotazione dei dirigenti, il turnover dei direttori di Dipartimento, la defenestrazione dei manager Asl che sforano i tetti di spesa), tuttavia Azione non farà parte della squadra d’assessori («Se ho ben capito non sarebbero nemmeno disponibili, la loro strategia è di pungolo dell’amministrazione», dirà il governatore a margine del Consiglio).

Anche qui, un copione andato in scena altre volte: gli alleati - vecchi o nuovi, interi gruppi o singoli consiglieri - pestano i piedi e scalciano, e allora il “generoso” Emiliano trova sempre il modo per accomodare, promettere, intrecciare patti e intese. Stavolta però è tutt’altra storia e non basterà: ci vuole molto di più, non sono sufficienti un paio di proposte di legge, ci vogliono impegni concreti di fine legislatura e un nuovo inizio politico, meno bulimico, confusionario, spregiudicato.

Ma del resto, sembra (sottolineiamo: “sembra”) esserne consapevole lo stesso Emiliano: ieri, con diligenza non sempre dimostrata, è arrivato puntuale in aula e s’è sorbito tutto il Consiglio, prendendo appunti, pazientando, e cadendo solo di tanto in tanto nella debolezza dello smartphone (un fotografo l’ha pure beccato mentre s’era concesso una partitella a Tetris); e poi ha sì rivendicato il solito elenco di cose belle e buone fatte, ma è stato tutto un garantire «presìdi di legalità», «cambi di passo», ascolto di tutto e tutti, una sessione d’aula per presentare «tutto il piano del Fsc (fondi europei, ndr), così potete tutti darmi una mano a sveltire le cose col ministro Fitto che ringrazio comunque per la collaborazione», «senza polemiche», e «ci sono valori comuni che uniscono questa maggioranza e tutte le forze politiche del Consiglio», «vi do atto - rivolto al centrodestra - che la polemica giudiziaria non è venuta da voi». E i consiglieri di centrosinistra? C’è chi difende a prescindere l’emilianismo, chi è in confusione, chi si lancia in uscite pittoresche (Saverio Tammacco: «Sì, io sono un trasformista!»), e chi prova a interpretare la fase. Michele Mazzarano, per esempio, parla in aula di «amministrazione a un giro di boa decisivo», di «fine ciclo politico» e di «necessità di riaprirne un altro», attacca gli intenti «persecutori» del centrodestra nazionale e individua però la necessità di «chiudere al meglio la legislatura con un’intesa sulle cose da fare», con qualche stoccata al Pd.

Per ora, tuttavia, cosa ci sia davvero da fare per ricominciare non lo sa nessuno. Il centrosinistra potrebbe trovare ragioni fondate per rigenerarsi, e allargarsi davvero a nuovi soggetti senza più lo scudo del civismo acchiappatutti. O magari la coalizione continuerà solo e stancamente a vivacchiare. Ieri dall’aula, a raccontare il clima da smarrito sottosopra, un paio di coloriti aneddoti. Il primo: i cinque stelle, prendendo troppo alla lettera il concetto di “stare fuori dalla maggioranza”, si sono accomodati alle spalle del centrodestra, e non era necessario; tanto che la presidente del Consiglio Loredana Capone, al momento di dare la parola a Marco Galante, lo cercava vanamente tra i banchi di centrosinistra («Sapete, l’abitudine...»). Il secondo: a metà seduta spunta lei, Anita Maurodinoia, l’ex assessora indagata col marito Sandrino Cataldo. Inchiodata lì, in fondo, non una parola, pochi sguardi incrociati, un sorriso quando Emiliano la ringrazia «per la sensibilità mostrata con le sue dimissioni spontanee, ha compreso il momento». E lei, autosospesa dal Pd, voterà con la maggioranza. Nel complesso, la seduta scivola via come una sessione collettiva d’autocoscienza, «la mozione di sfiducia era solo una provocazione del centrodestra, non ci hanno nemmeno cercati per chiederci di sostenerla» sferza il sempre pungente Fabiano Amati (Azione). Ore 19.30, cala il sipario e da domani si riparte. La destinazione è però ignota a tutti, da sinistra a destra.

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