I Parisi e il business del caffè: «Imposta la miscela ai bar»

Su ogni chilo venduto guadagni per 10 euro e in cambio la protezione mafiosa

Il boss Savino Parisi
Il boss Savino Parisi
di ​Nicola MICCIONE
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 28 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 29 Febbraio, 15:06

Il clan Parisi costringe bar e attività commerciali a comprare, spesso a nero, il caffè distribuito dalla malavita. «Quello del caffè - si legge negli atti della Dda di Bari - si è dimostrato un settore idoneo ad attrarre gli investimenti del clan. Il prodotto finito, in particolare, permette, fornendolo ad un prezzo maggiorato, interessanti ricavi con bassi investimenti, motivo per il quale il settore è diventato di considerevole interesse». Investendo il denaro sporco, infatti, il clan sarebbe riuscito a ricavare circa 10 euro per ogni chilo di caffè venduto.

Protezione mafiosa in cambio

«Le diverse realtà commerciali, pur pagando un prodotto di scarsa qualità a prezzi maggiorati rispetto al valore di mercato ottengono, in cambio, la protezione mafiosa delle attività e guadagni ampliati e sottratti all'imposizione fiscale».

Riconducibili al clan, secondo gli inquirenti, sarebbero state le imprese Torregina Caffè, Raro srl e Caffè Sartoriale. La prima riconducibile a Tommaso Parisi (cantante neomelodico e figlio del boss Savino) e Christopher Luigi Petrone, della seconda era «socio occulto» il fratello del boss, Massimo Parisi. Tutti e tre sono in carcere. «Non è affiliato, non vende droga ora, però non lo so, ha qualche… sulla macchina del caffè, fa questi imbrogli qua e cammina sempre con il nome del fratello. Ho sentito che vendeva del caffè». È Domenico Milella a parlare di Massimo Parisi e dei suoi interessi nel campo del caffè. «Tanto i rapporti con i concorrenti, quanto i rapporti con i clienti - scrive il giudice Alfredo Ferraro -, venivano gestiti dal Parisi in forza del timore che lo stesso esercitava in virtù del suo nome e del suo legame parentale al boss Savino».

L'uomo, infatti, da lunedì in carcere, aveva deciso di buttarsi nell'affare del caffè e, «al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali, in qualità di socio di fatto e in concorso con Vitantonio Liturri (anch'egli socio di fatto), attribuiva fittiziamente la titolarità delle quote» della Caffè Sartoriale. E se da un lato «non risultano elementi indiziari relativi all'intestazione in senso stretto all'Attolico da parte del Parisi», dall'altro «le intercettazioni dimostrano in modo inequivoco che almeno a partire dal 2015 Parisi era subentrato nella compagine societaria in veste di socio occulto». E «questi non solo gestiva in prima persona l'attività imprenditoriale di commercializzazione del caffè, ma investiva nella stessa denaro proprio», è scritto nell'ordinanza. 

Le intercettazioni 


«Io non ho detto niente a zio Massimo… gli posso dire “mi vuoi dare mille chili di caffè, però mi devi fare una distribuzione di ottanta chili al mese. Quanto ti devo dare?”» diceva Tommaso Lovreglio, non sapendo di essere intercettato, a Christopher Petrone. «Dipende dal prezzo che ti vuole fare… - la risposta di quest'ultimo - ma io siccome so quanto lo paga lui… lui lo paga a quattro euro, quattro euro e cinquanta… già lui…». Parisi, inoltre, «si preoccupava anche di “regolare” la concorrenza in modo sleale, ossia impedendo che altri potessero vendere il caffè agli esercizi che lui era solito approvvigionare», si legge ancora nella misura. «Ma una volta sei entrato in un bar dove ho io il caffè? Che tu dicesti: “Vedi che è venuto quel cliente, vuole che io devo togliere”. Ti ricordi o no questo episodio? - chiedeva Parisi a Petrone -. E tu dicesti a me dicesti: “Massimo vedi che sono entrato in un bar di un cliente tuo che vuole mettere la miscela mia. Io ho sempre detto che dove sta l'insegna e vedi Caffè Sartoriale, girati e vattene!». Con queste parole, secondo il giudice Ferraro, «vi è la chiara ed esplicita affermazione da parte di Parisi di una totale immedesimazione tra lui e il Caffè Sartoriale», è scritto agli atti. «Cioè ricordatevi sul caffè io ho perso il conto! Ciò che ho creato… se tu ti fai il giro… fatti una promemoria la più scema… - diceva ancora Parisi a Petrone -. Io se mi faccio un giro, tutto ciò che mi sono creato, io ho perso il conto. Ogni bar, ogni bar… io ho messo la faccia mia, la faccia mia ho messo!». Un modus operandi, agevolato «dall'utilizzo del metodo mafioso nello svolgimento dell'attività», utile «anche al riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite». A parlarne, sempre con Lovreglio e Perrone, è Parisi: «Decaro tolse il cliente al socio mio, lo presi in mezzo alla strada e dissi: “Io purtroppo devo fare il mio lavoro… io faccio anche… vendo anche loro… da loro devo riciclare e devo ripulire… tu quando me lo dici e quando vuoi e vuoi essere messo nella lavatrice e girarti tre quattro volte, dimmi come vuoi essere uscito che ti metto il programma lì dentro! Hai capito che lì non devi andare più?». Ed ancora: «Tu, come vieni sopra la zona… a me non interessa dove sei andato. Oh, dove stanno le bandiere mie, dove vedi Caffè Sartoriale girati e vattene!». 
© RIPRODUZIONE RISERVATA - SEPA

© RIPRODUZIONE RISERVATA