Con Brexit anche la Puglia teme un rimbalzo negativo del proprio business Oltremanica. Raggiunto in extremis e pronto alla ratifica, tuttavia, l'accordo tra Ue e Regno Unito - niente dazi, ma più controlli doganali - promette di arginare il rischio di indebolimento, sebbene già nel 2019 l'interscambio tra Puglia e Gran Bretagna abbia raggiunto il suo minimo storico, poi consolidato dalla pandemia.
Sono cibi e bevande i prodotti del made in Italy principalmente acquistati dagli inglesi. E ovviamente in questa categoria merceologica le aziende pugliesi primeggiano. Tanto che dal 2011 a oggi sono riuscite a sviluppare un trend crescente - seppur non costante - in tal senso. Si è passati in otto anni da 349 a 504 milioni di euro, in termini di valore della merce esportata. Era il primo semestre 2019 e in quel momento la Gran Bretagna rappresentava per la Puglia il quinto miglior partner a livello globale. Rispetto all'anno precedente, l'export segnava una variazione positiva di 27 punti percentuali. L'intero Regno Unito (dunque anche Scozia, Galles e Irlanda del Nord insieme a Gran Bretagna) importa prodotti agroalimentari pugliesi per 140 milioni di euro. «E il 70% di questa quota, ovvero 97,5 milioni, è assorbito dall'ortofrutta. Le esportazioni di prodotti agroalimentari dalla Puglia al Regno Unito sono aumentare del 41% negli ultimi 5 anni», ha evidenziato qualche giorno fa il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia, paventando il rischio di interruzione dello scambio connesso alla cosiddetta variante inglese del Covid.
E, in effetti, un blocco c'è stato - rivelano i dati di Ita (Italian trade agency) forniti dall'agenzia regionale Puglia Sviluppo - ma nel primo semestre 2020 e nei primi sei mesi del 2019. E c'è chi lo addebita alla stessa Brexit ovvero agli effetti che la scelta poteva innescare sullo stesso mercato interno durante la fase transitoria. Dai 504,4 milioni di euro registrati all'alba del 2019, le esportazioni pugliesi nei successivi sei mesi (tra gennaio e giugno) scivolano, infatti, a 230,2 milioni di euro. Poi arriva l'emergenza pandemica e l'export pugliese subisce il colpo di assestamento, a 213,3 milioni di euro.
Se la pandemia è artefice del crollo di import ed export nel primo semestre 2020, a quale dinamica è dunque riconducibile la contrazione dell'interscambio tra il 2018 e il 2019? Stando ai numeri, quanto all'export, è risultata decisiva la flessione rilevata per aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi (-5,3%), altre macchine per impieghi speciali (-38,5%), prodotti chimici di base, fertilizzanti e composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica in forme primarie (-29,5%), prodotti di colture non permanenti (-5%), apparecchiature per le telecomunicazioni (-50,8%) e articoli in gomma (-26,4%). Nel primo semestre 2020 e rispetto allo stesso periodo del 2019, invece, a far la differenza è stato il crollo della vendita di macchine per impieghi speciali (-55%), di mobili (-41%), calzature (-39,6%), medicinali e preparati farmaceutici (-37,9%) e prodotti dell'industria lattiero-casearia. I prodotti alimentari hanno, infatti, continuato a essere interessati da una domanda crescete, come sostenuto da Coldiretti: +26,5% per le bevande, +13 per frutta e ortaggi lavorati e conservati, +32% per articoli in materie plastiche, +70% pe prodotti farinacei e da forno e +103% per granaglie, amidi e prodotti amidacei. Quanto all'import, invece, giù quasi tutte le categorie, esclusi farmaci (+136%), prodotti di colture agricole non permanenti (+95%) e prodotti delle industrie lattiero casearie.