Data center, l'archiviazione dei dati ora si fa sulla ceramica. Su un materiale protostorico

Di fronte alla mole sempre più gigantesca di informazioni da gestire, la tecnologica cerca nel passato. Il materiale è capace di archiviare 10.000 terabyte in un palmo di mano

Data center, l'archiviazione dei dati ora si fa sulla ceramica. Su un materiale protostorico
di Mauro Anelli
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 20 Dicembre 2023, 15:57 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 07:37

Fino ad oggi i sistemi di archiviazione dati hanno manifestato una obsolescenza preoccupante (vedi i nastri magnetici o generazioni di cd e dvd finiti al macero) o una capacità limitata nel contenere un numero sempre crescente di informazioni, anche nei più evoluti sistemi a lettura ottica.

Negli ultimi anni la mole di informazioni da gestire è lievitata grazie allo streaming dilagante nell’industria dell’entertainment e all’utilizzo sempre più massivo di cloud dove blindare i propri dati.
Sembra però spuntare dal passato remoto una soluzione che potrebbe dare una risposta quasi definitiva al problema, con l’utilizzo della ceramica, lo stesso materiale del vostro bagno, in grado di archiviare 10.000 terabyte in un palmo di mano. Per dare un’idea, questa capacità è all’incirca l’equivalente di 2,5 milioni di film (quattro volte l’intero archivio contenuto nell’Internet Movie DataBase) e avanza anche spazio per caricare ogni canzone di Spotify e ogni libro di Amazon.

LA STARTUP

A lanciare il sasso, anzi il coccio, è stata la startup tedesca Cerabyte con la presentazione di un nuovo supporto di archiviazione a lungo termine, progettato per risolvere tutte queste problematiche con un materiale ad alta capacità, veloce, economico e in grado di durare centinaia, se non migliaia di anni, come una antica stele cuneiforme. Cerabyte ha infatti tratto ispirazione da tavolette di argilla vecchie di migliaia di anni. Gli esempi non mancavano: la storia di Gilgamesh è stata incisa su una tavoletta di 3.800 anni fa, ed è praticamente intatta. Ancora più antica è una ricetta della birra mesopotamica datata 5.000 anni. Ma la ricerca sull’uso della ceramica per conservare un dato ha analizzato uno dei più antichi manufatti realizzati dall’uomo: una scultura di Venere in ceramica di 25.000 anni fa che presentava sulla superficie ancora le impronte digitali dello scultore ben rilevabili, dimostrandosi una microstruttura molto resistente all’usura del tempo.

Da qui la scintilla e la fase di test positivi che ha dato fiducia ai ricercatori, con una serie di risposte che sbaragliavano le caratteristiche della concorrenza.

DURO A MORIRE

Secondo Cerabyte, i dati memorizzati sul dispositivo possono sopravvivere a temperature comprese tra -273°C e 300°C e sono resistenti agli ambienti radioattivi e corrosivi. Anche i tentativi di cancellare o danneggiare i dati attraverso un fantascientifico attacco a impulsi elettromagnetici (EMP) fallirebbero. Sulle prestazioni la tecnologia di Cerabyte risulta essere 50 volte più veloce di un disco ottico, e grazie al materiale estremamente sottile dei componenti consente di aumentare di 50 volte la densità di dati rispetto ai supporti tradizionali. Nel sistema ideato dai ricercatori, i laser sono necessari solo per scrivere i dati sui nanostrati ceramici che hanno uno spessore di 50-100 atomi, mentre la lettura richiede microscopi ad alta risoluzione. 

Unico punto a sfavore è il tempo di caricamento, relativamente lento rispetto ai sistemi convenzionali. Con le velocità attuali limitate a solo 1 GB/s, potrebbe servire una intera giornata per riempire il dispositivo da 10.000 TB. Ma anche in questo caso, la road map dell’azienda prevede entro il 2030 di sviluppare i prodotti e migliorare le performance.

LA COMMERCIALIZZAZIONE

Entro i prossimi sette anni si prevede che saranno lanciati sul mercato i primi dispositivi basati su questa tecnologia e saranno disponibili già i primi modelli il prossimo anno in tagli da 10 PetaByte, con un costo stimato di 4 dollari a terabyte. E c’è un altro tema vincente sul quale gli startupper tedeschi fanno leva, ed è la sostenibilità: nell’archiviazione a lungo termine si stima infatti una riduzione del 99% delle emissioni di CO2 generate dalle tecniche attuali di caricamento dei dati nel cloud. Naturalmente si genera una riduzione sensibile di rifiuti elettronici, grazie proprio alla resilienza di cartucce di memoria praticamente indistruttibili, ma anche il consumo di energia che viene azzerato quando il dispositivo è a riposo risulta una caratteristica fondamentale per un utilizzo a lungo termine.

IL FUTURO

La promessa dei suoi creatori è dunque ambiziosa: in caso di successo questa tecnologia sconvolgerà un mercato, quello dell’archiviazione dati, da 500 miliardi di dollari, inaugurando “l’era Yottabyte”, una unità di misura di archiviazione equivalente a un quadrilione di gigabyte o se preferite un milione di trilioni di megabyte. Ma a quel punto forse servirà più capire come ritrovare un dato che sapere quanto spazio occupa.

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