Carbone, addio in anticipo alla centrale di Brindisi. La produzione è già al minimo

La dismissione della centrale Federico II potrebbe avvenire anche prima della data fissata del dicembre 2025. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha fatto il punto a Torino, durante il vertice ministeriale dei “grandi”

Il g7 dell'Ambiente a Torino
Il g7 dell'Ambiente a Torino
di Francesco TRINCHERA
3 Minuti di Lettura
Martedì 30 Aprile 2024, 08:42

L’uscita dal carbone e la dismissione della Federico II potrebbe avvenire anche prima della data fissata del dicembre del 2025. Sull’argomento, infatti, si è espresso il ministro all’Ambiente e la Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin, intervenuto nell’ambito del G7 sull’ambiente e l’energia in programma tra ieri ed oggi a Venaria Reale, in provincia di Torino. In particolare, il rappresentante del governo guidato da Giorgia Meloni ha inquadrato la situazione dei principali impianti in Italia, inserendolo nel complesso del contesto internazionale.

I dettagli

Andando più nel dettaglio, nell’ottica di un uscita anticipata dal carbone, Pichetto Fratin ha lanciato la possibilità che questo possa avvenire «tra un anno, anche meno», facendo riferimento soprattutto all’Italia continentale (per la Sardegna, invece, dovrebbe essere fissato il limite del 2027). Ed è in questo contesto che il ministro ha anche raccontato: «Nel mese di settembre ero quasi pronto e poi ho avuto un dubbio e un ripensamento. C’è un atto di indirizzo firmato dal sottoscritto che sancisce la riduzione al minimo delle produzioni utilizzando il carbone nelle due grandi centrali di Civitavecchia e Brindisi. Ho optato per la riduzione al minimo perché c’era il grande dubbio che potesse succedere qualcosa nel quadro geopolitico internazionale».

Successivamente, ha ricordato sempre Pichetto Fratin, c’è stato l’attentato di Hamas in Israele del 7 ottobre, così come le crisi strettamente correlate ad esso, come quelle che riguardano il mar Rosso e lo stretto di Hormuz, che sono crocevia dell’approvvigionamento energetico in Italia. Tirando le somme, il ministro ha concluso che «ci sono valutazioni che esulano dalla stretta valutazione di merito, però l’Italia è pronta per la parte continentale».

La centrale Enel Federico II di Cerano, così come quella “gemella” di Civitavecchia, sono comunque praticamente ferme da novembre dello scorso anno.

Un primo gruppo (e più precisamente, il gruppo 2) era stato già dismesso nel 2020, secondo il percorso tracciato nell’ambito del Pniec (il Piano integrato per l’Energia ed il Clima).

Proprio il Piano integrato ha fissato il termine per l’uscita dal carbone alla fine del prossimo anno e non è da escludere che l’azienda, seguendo quanto decideranno i regolatori (come lo stesso Ministero e la società che gestisce la rete, Terna) possa anche anticipare la scadenza. Anche nel suo recente piano industriale, Enel ha tracciato una linea che non prevede investimenti in tecnologie che non utilizzano combustibili fossili. Un fattore che, invece, potrebbe essere determinante in senso contrario è quello della situazione internazionale, come successe già due anni fa quando ci fu l’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina e ci fu la decisione di massimizzare i carichi, attivando i tre gruppi ancora in funzione per far fronte all’emergenza energetica dovuta allo stop di importazioni di gas dalla Russia.

Esigenza venuta meno con il passar del tempo, anche grazie alla diversificazione dell’approvvigionamento energetico che è stata portata avanti dagli ultimi governi. Anche per questo, gli accordi internazionali giocheranno un ruolo importante: proprio dal G7, secondo quanto anticipato dal ministro per l’Energia del Regno Unito, Andrew Bowie, i partecipanti alla manifestazione (i sette paesi membri ma anche Unione europea, paesi produttori, organizzazioni internazionali) avrebbero trovato un accordo per l’uscita completa entro il 2035, su cui, come detto, l’Italia dovrebbe giocare in netto anticipo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA