Un cuore di porcellana con la foto della zia defunta rubato dalla lapide di un cimitero nel Salento. E la lite tra cugini finisce davanti al giudice. La vicenda vede coinvolti un uomo residente a Gemini, frazione di Ugento, che ha denunciato una sua cugina residente in provincia di Napoli. Quest'ultima, indagata per vilipendio di tomba e furto aggravato, è stata assolta per la tenuità del fatto, ma è stata comunque condannata alle spese.
Ruba la foto della lapide: a processo per furto
La donna, 49 anni, era stata accusata di essersi impossessata di un cuore di porcellana ritraente sua madre, deceduta da qualche tempo e sepolta accanto al marito nel Napoletano.
La vicenda in tribunale
La vicenda è finita in Tribunale. Le indagini sono state coordinate dal sostituto procuratore Paola Guglielmi, che ha iscritto la donna nel registro degli indagati con le accuse di vilipendio e di furto. Nelle scorse ore, il giudice Bianca Maria Todaro ha assolto la donna - difesa dall'avvocato Alberto Ghezzi - perché i reati non sono punibili per la particolare tenuità del fatto, condannandola comunque a risarcire al cugino, costituitosi parte civile, l'importo di 200 euro, e a pagare e spese processuali. Nel corso del processo sono state acquisite diverse testimonianze, che hanno permesso di ricostruire tutti i contorni della vicenda. È così emerso che il nipote aveva fatto collocare sulla lapide della propria madre la foto della zia perché, a suo dire, prima di morire quest'ultima gli aveva manifestato la volontà che le sue ceneri fossero custodite nel cimitero di Ugento, cosa che poi non era avvenuta perché la figlia della defunta aveva portato i resti della madre in provincia di Napoli, nella tomba di famiglia.
Furto e vilipendio di tomba
Per il giudice, sono da ritenersi sussistenti gli elementi del reato di vilipendio di tomba: la foto è stata sottratta nella piena consapevolezza del gesto compiuto in un cimitero su un oggetto destinato a ricordare e onorare il sentimento dei defunti. Allo stesso modo, si può configurare anche il reato di furto. Tuttavia, per la particolare tenuità del fatto, per il valore esiguo della refurtiva e anche per la manifestata volontà di restituire l'oggetto (che poche settimane fa è effettivamente tornato nelle mani del legittimo proprietario tramite il difensore della donna), la giudice ha deciso di assolvere la 49enne, pur condannandola al risarcimento della parte civile e al pagamento delle spese processuali.