Pubblicato sul sito istituzionale della Regione Puglia “Emergenza xylella” tutto il database relativo a 10 anni di monitoraggio del batterio, con i risultati di oltre un milione di analisi, accompagnato da una nota esplicativa in cui vengono precisati anche gli scopi ed i limiti del monitoraggio stesso. Un passaggio che si è reso necessario alla luce di alcune voci, circolate nelle scorse settimane, secondo le quali la fitopatia - che ha divorato quasi 21 milioni di alberi distruggendo l’olivicoltura salentina - non avrebbe un ruolo rilevante nel disseccamento degli ulivi, considerato che il tasso di infezione da xylella in piante con sintomi di disseccamento analizzate nei monitoraggi è basso e decresce anno dopo anno.
Mentre, invece, i dati dicono esattamente il contrario, e cioè che l’infezione decresce proprio grazie al monitoraggio che ha permesso di anticipare il batterio e arginarlo, se non addirittura, come è capitato in alcuni casi, sconfiggerlo.
Vale la pena sottolineare che il database regionale è una mole di dati imponente, con i risultati dell'analisi di 1.203.238 di piante (di cui oltre un milione di ulivi) fatte nel decennio 2013-2023, che ha richiesto, si legge sempre nella stessa nota pubblicata su “Emergenza xylella” di «uno sforzo enorme da parte dei soggetti coinvolti nella gestione dell’emergenza».
Scopi e limiti del monitoraggio
Per una corretta interpretazione dei dati, vengono quindi precisati gli scopi del monitoraggio ed i limiti del suo utilizzo: «La normativa comunitaria relativa alle misure da attuare per prevenire l’introduzione e la diffusione nell’Unione della xylella fastidiosa (Regolamento di esecuzione 2020/1201, preceduto da varie “decisioni”) riporta tra le prescrizioni a cui ogni Stato membro deve attenersi l’esecuzione annuale di monitoraggi. Sin dalla Decisione 789 del maggio 2015 la Puglia meridionale interessata dall’epidemia non è soggetta a misure di “eradicazione” ma, preso atto dell’insediamento ormai endemico del batterio, a misure di “contenimento”, ossia misure atte a contenere l’ulteriore espansione dell’area infetta». E, ancora: «Conseguentemente l’obiettivo del monitoraggio, con cui si analizzano, in stragrande maggioranza, piante della zona “indenne” e “cuscinetto” (anch’essa indenne per definizione) e dell’adiacente “zona di contenimento”, ossia la parte terminale della zona infetta, dove in un’area ancora sostanzialmente libera dal batterio si ritrovano solo sparuti avamposti di piante infette, non è quello di inventariare le piante infette, ma di precedere il batterio e identificare e contenere o eliminare sul nascere nuovi focolai per abbattere la pressione d’inoculo sulla zona indenne e rallentare il più possibile l’espansione della zona infetta. Pertanto i dati di monitoraggio non possono fornire indicazioni sulla frequenza del batterio nella zona infetta, in quanto la maggior parte della sua superficie non è più oggetto di sorveglianza da parte dell’Osservatorio Fitosanitario». Per cui è vero che l’infezione più contenuta, ma lo è proprio grazie alle misure di contrasto adottate negli ultimi anni che hanno permesso di eliminare sul nascere - uno su tutti l’esempio di Canosa - nuovi focolai. «Si tratta di chiarimento (quello scritto nero su bianco nella nota regionale,